La crescita tumorale dipende da tre parametri: la durata del ciclo cellulare, la percentuale di cellule avviate nel ciclo cellulare e le perdite cellulari.
Il ciclo cellulare
Nonostante questo passo possa essere un po’ arduo per un pubblico “novizio”, è tuttavia essenziale per spiegare due punti fondamentali: il primo mette in evidenza uno degli errori nell’applicazione attuale della chemioterapia, e l’altro mostra uno dei motivi fondamentali per cui la medicina sta fallendo di fronte al cancro.
Ogni cellula, per dividersi, deve passare attraverso quattro fasi successive che costituiscono il ciclo cellulare.
Un ciclo di divisione cellulare dura in media da 60 a 80 ore, cioè da 3 a 4 giorni, e tutte le cellule non si dividono allo stesso momento.
Dato che la maggior parte dei prodotti di chemioterapia sono attivi solamente al momento del ciclo cellulare, si capisce che le applicazioni rapide e brevi di chemioterapia, in bolus, non potranno mai colpire una grande parte delle cellule, quelle che non sono in divisione.
Esiste una fase particolare, la fase G 0 che riguarda tutte le cellule che lasciano il ciclo cellulare e migrano nell’organismo ove rimangono in “letargo”.
Queste cellule, chiamate cellule dormienti, rappresentano l’ostacolo principale sul quale cozzano tutti i nostri sforzi attuali nella chemioterapia anticancro.
In effetti, queste cellule non hanno nessuna attività e non si dividono.
Non vengono colpite dalla chemioterapia.
Ma in ogni momento si possono svegliare e creare metastasi, e ciò anche dopo numerosi anni.
Questo spiega la comparsa di metastasi 20 o 25 anni dopo l’apparente guarigione di un cancro.
D’altronde queste cellule dormienti possono anche non svegliarsi mai.
Le cause di un eventuale risveglio sono poco conosciute.
Una debolezza del sistema di difesa dell’organismo?
Una malattia infettiva, soprattutto virale?
Uno stress psicologico?
Le perdite cellulari
Questo è l’altro importante parametro che influisce sullo sviluppo di un tumore.
Queste perdite cellulari hanno tre origini:
- l’anoressia (mancanza di ossigeno) e la carenza di fattori nutrizionali,
- la maturazione cellulare,
- la distruzione cellulare da parte del sistema immunitario.
Dopo queste spiegazioni, torniamo al nostro argomento, cioè alla domanda precisa che è stata fatta: “Quanto tempo è trascorso tra la prima cellula cancerosa e la diagnosi del tumore?”
Sappiamo che il limite attuale di visibilità, qualche rara eccezione a parte, è il centimetro di diametro.
Sia la radiologia che l’ecografia, lo scanner e la risonanza magnetica non sono capaci di diagnosticare la maggior parte dei tumori al di sotto di questo fatidico centimetro. L’ultimo nato dei nostri esami, il pet-scanner, raggiunge difficilmente 7 mm, con numerosi falsi positivi e falsi negativi.
Ora, 1 cm di diametro equivale ad un miliardo di cellule.
La ricerca fondamentale ci ha insegnato da tempo che il tempo necessario affinché un tumore raggiunga il centimetro, cioè sia composto da un miliardo di cellule, è in media da 2 a 15 anni.
Sappiamo anche che la fase infraclinica, cioè il periodo muto della malattia durante il quale nessuna diagnosi è possibile nello stato attuale delle nostre possibilità, è in realtà molto più lunga del periodo di sopravvivenza di una grande maggioranza dei pazienti.
Si è potuto così stabilire che la fase preclinica dura in media:
- 9 anni per il cancro al seno,
- 7 anni per un cancro papillare della tiroide,
- 8 anni per un tumore al polmone (EOA),
- 14 anni per un tumore al pancreas,
- da 10 a 70 anni per un adenocarcinoma (tipo di tumore epiteliale caratterizzato istologicamente dall’aspetto ghiandolare della sua architettura)
Un’osservazione molto importante ci viene subito in mente.
Tutte le propagande di diagnosi precoce dei tumori ci dichiarano giustamente che prima si scopre il tumore, meglio sarà la prognosi.
Questo è perfettamente vero.
Il problema è che, per il momento, le tecniche di diagnosi precoce non esistono!
Finché i nostri mezzi di indagine non scenderanno sotto i 4/5 millimetri, non sarà possibile progredire né migliorare in modo significativo il tasso delle vere guarigioni, quindi della sopravvivenza a lungo termine di numerosi pazienti.
L’ideale sarebbe di raggiungere il millimetro, ma forse è solo un’illusione. Per il momento solo l’ecografia duttoradiale del seno è in grado di rompere il muro dei 5 millimetri in modo regolare.
Ma, d’altro canto, ciò pone un altro problema di fondamentale importanza.
E le metastasi, queste cellule figlie che migrano all’interno dell’organismo, quando compaiono?
Quando le possiamo scoprire?
La ricerca fondamentale ha risposto da tanto tempo.
Secondo il grado di differenziazione del tumore, le metastasi compaiono più o meno rapidamente, ma di solito molto prima che il tumore madre raggiunga il centimetro.